Ho sempre trovato la contrapposizione fra favorevoli e contrari alla realizzazione del TAV troppo influenzata da pregiudizi e poco attenta alle ricerche, anche molto approfondite, che, nei 27 anni di studio e progettazione della nuova linea sono state prodotte. Bene, quindi, la proposta dell’IN/Arch Piemonte di costruire un luogo “terzo”, che non dipenda dall’Osservatorio né dal movimento di opposizione all’opera, in cui rendere pubbliche tutte le informazioni e gli studi che si possono considerare scientificamente verificati nelle ipotesi e nei risultati, in cui illustrare sia la storia delle infrastrutture già realizzate, che i dati relativi alle nuove infrastrutture in progetto. È del tutto ridicolo, per esempio, leggere in questi giorni dati contrastanti sull’attuale traffico merci che graverebbe sulla linea storica, o sull’utilizzo dei tunnel geognostici già in costruzione, poiché si tratta a tutti gli effetti di dati oggettivi e non confutabili.
Ma l’obbiettività e neutralità dell’analisi dei dati non è sufficiente, occorre anche considerare il quadro democratico in cui si è svolto il conflitto. Dal mio punto di vista infatti il progetto del Tav ha anche molto a che vedere con il rispetto di una comunità locale, che per oltre due decenni e senza interruzioni, ha espresso una serie di criticità, ha sollevato dubbi, ha cercato soluzioni alternative, senza trovare un reale interlocutore nello Stato. Lo Stato ha scelto, nei fatti, la linea della forza, prima considerando l’opposizione all’opera un fatto locale e minoritario, poi resosi conto che si trattava di un movimento allargato e genuino, intenzionato a prendersi cura del territorio, la risposta è stata la militarizzazione dei cantieri. Una militarizzazione che, abbinata ad un reiterata considerazione di illegittimità della posizione contraria, ha contribuito al deterioramento sostanziale dei rapporti fra la politica, lo Stato e i cittadini.
Come ha raccomandato nella Sentenza n°41 del 2015 il Tribunale Permanente dei Popoli occorre anzitutto tornare a rispettare e considerare realmente le istanze dei cittadini che abitano la valle. Il movimento di opposizione ha generato una comunità locale capace di unire tutte le generazioni e di comprendere che in una fase di crisi economica, ambientale, energetica come quella attuale, il progetto del Tav costituisce una straordinaria occasione per allargare lo sguardo al modello di sviluppo che si intende perseguire, alle sue conseguenze in termini di effetti sull’ambiente, sulla salute, sull’economia.
Le attuali condizioni di incertezza circa lo sviluppo futuro sono ormai molto evidenti, anche ai più convinti sostenitori dell’opera, anch’essi non possono negare il dissesto idrogeologico del territorio, la riduzione preoccupante delle risorse ambientali ed energetiche, il livello di inquinamento dell’aria nella Pianura Padana, ecc. Condizioni comuni di incertezza che dovrebbero idealmente produrre non un conflitto, ma uno sforzo congiunto per verificare l’effettiva utilità di un opera che presenta grandi rischi ambientali ed economici, di fatto riconosciuti da entrambe le parti.
In una prospettiva di transizione ecologica ed energetica, ormai non più procrastinabile, il TAV produrrà più benefici o più danni? L’opera, al di là degli interessi e delle resistenze locali, è sostenibile dal punto di vista dell’interesse comune? Si tratta di quesiti che, tecnicamente, analizzando l’impatto sul sistema complessivo dei trasporti, del commercio, del turismo, i costi ambientali ed energetici diretti e indiretti, i costi gia sostenuti nelle indagini preliminari alla costruzione, i costi di gestione nel tempo dell’infrastruttura, possono avere una risposta ragionevolmente certa.
A questo dovrebbe servire un confronto reale fra le parti, un confronto che, incredibilmente, in 27 anni di progetti e studi, non c’è mai stato. Cosi come non è mai stata avviata la formazione di una commissione tecnica interdisciplinare e indipendente ad opera del Politecnico, come a suo tempo, per esempio, è stato fatto per la realizzazione della centrale nucleare di Trino Vercellese.
Dalla prossima primavera, sulla traccia di quanto già accade da decenni in Francia, entrerà in vigore la norma che obbliga le amministrazioni all’utilizzo della procedura del “Dibattito Pubblico” per opere pubbliche di importo superiore a 50 milioni di euro. Perché non cominciare proprio con il TAV?