Ci sono parole che, come le sirene, attraggono e seducono chi passa loro accanto lungo i propri itinerari del fare e del pensare.

L’ultima che mi ha attratto e sedotto – l’avevo già incontrata molto tempo fa, ma come talvolta capita, non mi aveva colpito più di tanto – è il termine “insediamento”, perché quella parola costituisce un crocevia in cui si intersecano molti aspetti sostanziali relativi alle questioni del territorio, della società e dell’architettura (cultura, ambiente, popolazione, economia, tecnica, spazio..), trattiene nella propria connotazione la cifra di una particolare stagione della società, una accentuata sensibilità per particolari temi della cultura, della scienza, della politica. In quella parola si sovrappongono molte visioni disciplinari, prima tra queste la geografia umana, che studia “la distribuzione degli uomini sulla Terra e la maniera in cui vivono”  (prendo a prestito alcune frasi dall’Enciclopedia Treccani), ma che soprattutto si occupa di “come gli uomini concepiscono il mondo, gli attribuiscono un senso e di conseguenza lo modificano”. La geografia umana, affermando che “il destino dei gruppi sociali è inscindibile dall’ambiente in cui essi vivono”, costituisce probabilmente oggi il campo disciplinare più vasto, eterogeneo e intrecciato, in grado di indagare e interpretare con maggiore completezza le traiettorie lungo le quali si muove il mondo contemporaneo.

Come succede con il linguaggio attento alle sensibilità di genere – quando si utilizza il sostantivo “persona” per indicare un individuo indipendentemente dalla sua appartenenza al sesso maschile o femminile – il termine “insediamento” riassume in sé ogni configurazione assunta dal territorio antropizzato, ogniqualvolta vi si stabilisca un nucleo di comunità umana, indipendentemente dal suo perdurare nel tempo, dalla sua dimensione (metropoli, città, borgo, villaggio…) dalle sue ragioni funzionali (residenziale, industriale, agricolo, militare…), dal suo ruolo gerarchico (centrale, periferico, isolato..) e carattere (urbano, rurale….). Nel significato che gli è attribuito, contiene in sé tutta la ricchezza e la complessità delle relazioni intercorrenti fra ambiente e stanziamento dell’uomo sulla superficie terrestre: da un lato, l’analisi delle motivazioni che influiscono sulla nascita, la crescita o il decadere di un nucleo insediativo a partire dalla propria localizzazione e dagli esiti dell’adattamento all’ambiente; dall’altro, le modificazioni che l’abitare umano apporta al territorio, concorrendo in larga misura alla trasformazione del paesaggio da naturale in culturale. Senza per questo assegnare alcuna supremazia alla centralità urbana nei riguardi della periferia e del territorio non urbano. Un insediamento prevede una scelta morfologica che corrisponda alla forma sociale e politica, alle caratteristiche climatiche e orografiche; prevede collegamenti, infrastrutture, gerarchie, tecniche, economie, ecc. in qualsiasi contesto sia radicato, ma soprattutto esprime una interpretazione del mondo, che gli abitanti hanno impresso nelle sue forme.

Fino a ieri era pressoché condivisa la convinzione che la città costituisse l’espressione più elevata delle civiltà umane nello spazio e nel tempo, tanto da assorbire, per estensione, nel suo significato ogni forma di insediamento organizzato sul territorio. Oggi, tra le sconvolgenti trasformazioni dello scenario contemporaneo, occorre riconoscere come anche la dialettica classica tra città e campagna stia mettendo in evidenza aspetti nuovi o finora trascurati, capaci di incidere sulla “distribuzione degli uomini sulla Terra e la maniera in cui vivono”.

La città, il luogo dello scambio, del potere, dell’incontro, della serendipity, in cui finora si è ritenuto si concentrino le maggiori opportunità di emancipazione sociale, sta subendo in modo sempre più consistente le contraddizioni prodotte dalla marginalità, dal degrado tanto dei manufatti quanto delle condizioni di vita e dal collasso dei livelli di coesione e solidarietà che si propagano dai brani di tessuto territoriale e sociale tenuti lontani dalla centralità. Mentre, per contro, l’attenzione al territorio non urbano, si rivela oggi più accentuata e diffusa; plausibile esito della più acuta sensibilità ai temi ambientali, dell’affermarsi delle reti di informazione che modificano la percezione della distanza, dalla necessità di contenere le ricadute negative prodotte dalla desertificazione delle zone interne e dalla necessità di approfittare con maggiore attenzione delle risorse che i territori non urbani conservano; ma esito anche della accentuazione delle ineguaglianze, dei processi di progressiva proletarizzazione e deprivazione, che non si limitano più a marginalizzare quanto piuttosto ad espellere dai luoghi centrali coloro che sono estranei ai privilegi delle “élite urbane”. Paura, disagio, insicurezza, risentimento, povertà muovono gruppi sociali che cercano di alleviare la pressione di una città sempre più ostile, insieme a individui che non intendono più assoggettarsi alle condizioni esasperate imposte dall’abitare urbano. Invertendo le tradizionali logiche dell’inurbamento, questi soggetti sono spinti alla ricerca di condizioni di vita meno competitive e costose, meno aggressive e più accoglienti, al di fuori del “deserto sovraffollato” (per dirla con Bauman) delle città.

Si configura così un paradosso: la superficie del Pianeta, che con la globalizzazione ci appare oggi sempre più piccolo e affollato, ormai totalmente conosciuto e asservito alle esigenze della specie homo sapiens – con il frenetico processo di urbanizzazione e con l’assoggettamento dei soli territori direttamente funzionali alla espansione dell’attuale modello di sviluppo – rivela vasti e profondi squilibri nella distribuzione degli stanziamenti umani sulla sua superficie, con sacche di territori in progressivo abbandono quando non ormai desertificati.

Quasi una “nuova frontiera” per rigenerare paradigmi di una società ormai esausta e ripiegata, per ristabilire equilibri compromessi, per dar spazio a inedite forme di imprenditorialità e professionalità. Per quanto attiene al nostro paese, i settori e i modelli sono, almeno in embrione, già presenti nel nostro campo di osservazione e contengono buone possibilità di crescita e innovazione: turismo sostenibile, accoglienza a segmenti sociali fragili, settori agricoli e zootecnici evoluti, cooperative energetiche, telelavoro, tutela del territorio, dell’ambiente, del sistema idraulico, ricostruzione della filiera produttiva del legno, gestione di servizi di welfare collettivo, e molto altro ancora; iniziative legate a combinare il progresso tecnologico con progresso economico e sociale, in piena sintonia con i requisiti dettati dalla sostenibilità ambientale e dal contrasto al cambiamento climatico.

Tutto questo non intende tuttavia rappresentare una sfida riservata a chi, possedendo una vocazione ascetica o una insofferenza alle convenzioni comuni, intenda mettere alla prova la propria capacità di misurarsi con la durezza della natura, di rinunciare ai benefici del progresso sociale e tecnologico, di troncare i legami di collaborazione e solidarietà: il sistema delle reti di informazione e mobilità permette oggi, se indirizzato alla realizzazione programmatica di un progetto articolato, di ridurre in modo consistente il divario tra centro e periferia, tra territorio urbano e non urbano, permettendo di migliorare l’accessibilità a servizi sanitari, istruzione, cultura, tempo libero ecc.

Dunque, per rigenerare le terre che l’urbanesimo ha reso marginali e subalterne, non occorre solo lo spirito pionieristico o nostalgico di chi intende costruire un proprio progetto di vita che preveda un legame più intenso con la natura, ma occorre che istituzioni e privati collaborino per costruire le condizioni affinché una nuova distribuzione degli uomini sulla Terra possa garantire un radicamento sufficientemente efficace da sopravvivere nel tempo, di competere per qualità e benessere con il modello urbano; occorre, insomma, costruire le condizioni affinché quei luoghi – se compatibili – siano in grado di accogliere l’“insediamento” umano.

Letto volante nel Million Donkey Hotel Borgo medievale Prata Sannita Inferiore vicino a Caserta