L’Uomo è probabilmente l’unico tra le specie viventi su questo pianeta a progettare – in qualche modo – il proprio rapporto con l’ambiente e il suo futuro sviluppo. Le altre specie viventi agiscono sotto la spinta di un condizionamento biologico tendenzialmente statico, la cui evoluzione è un prodotto, una reazione resa necessaria dall’ambiente e dal suo modificarsi.
In qualche modo, perché questo progetto non è sempre del tutto consapevole ed equamente condiviso; quello che qui definisco progetto, non può che costituire una sommatoria di comportamenti, aspirazioni e logiche politiche; una proiezione, nel bene e nel male, dello spirito del tempo e della forma che le relazioni politiche, economiche e sociali hanno assunto in quel determinato periodo storico. Dentro quel progetto, l’architettura ha sempre rivestito un ruolo importante (anche se spesso non riconosciuto) nel disegnarne la scena fisica, nel caratterizzarne anche figurativamente la periodizzazione, con stagioni storicamente identificabili, contraddistinte da categorie, parole d’ordine, motivazioni, atteggiamenti nei confronti del progetto (armonia, grandiosità, rigore, razionalità, innovazione, spettacolarità…..) con cui si è inteso caratterizzarli – accettando anche grossolane schematizzazioni – per riuscire a tracciare una mappa concettuale del divenire di tecniche e linguaggi.
In tutte le epoche, soprattutto nei tempi e nei luoghi in cui minori erano le risorse e più ostile l’ambiente, l’uomo ha cercato di migliorare il proprio modo di abitare il mondo, utilizzando le energie e i materiali più facilmente disponibili in natura ed elaborando saperi, tecniche, stili di vita che gli hanno consentito di sopravvivere anche negli ambienti meno accoglienti: attraverso la scelta dei siti più adatti all’edificazione, approfittando della configurazione orografica naturale o cercando di modificarla a proprio favore, sfruttando la luce e il calore del sole o proteggendosi da esso, scegliendo i materiali da costruzione più adatti tra quelli reperibili intorno ai propri insediamenti.
Oggi “sostenibilità” è, sia pure con qualche controversia, una delle parole d’ordine più popolari; ricorrente in tutte le espressioni dell’agire umano (almeno in questa parte del mondo cosiddetto “sviluppato”). La “sostenibilità” costituisce ormai una categoria che esercita una profonda influenza su tutti gli aspetti dell’architettura. La sempre più diffusa attenzione alla questione della “sostenibilità” – che ha iniziato ad affermarsi a partire dagli anni’70 con i diversi movimenti “verdi” e il consolidarsi delle discipline legate al tema dell’ecologia – rappresenta un cambio di passo storico: la consapevolezza che – sia pur faticosamente – si va ormai ampiamente diffondendo, che le risorse naturali del pianeta impongono un limite al loro sfruttamento, da parte di coloro che oggi lo abitano, a favore delle generazioni che lo abiteranno in futuro.
Ciò comporta la necessità di esercitare un controllo sull’impatto degli insediamenti umani nei confronti dell’ambiente e, dal momento che l’ambiente pur nella sua eterogeneità costituisce un unicum inscindibile, che avvolge l’intero pianeta, la questione della sostenibilità non può essere contenuta all’interno di confini geografici o istituzionali, ma deve coinvolgere comunità sempre più ampie e, in prospettiva, rappresenta una sfida globale che richiede la condivisione a scala planetaria di una idea comune e di una serie interconnessa di strategie condivise.
É possibile, anzi probabile, che anche la cultura della sostenibilità, così come la conosciamo oggi, non costituisca di per sé un principio assoluto, che l’approccio si modifichi e si affini nel tempo o che – addirittura – al principio della sostenibilità si sostituiscano in futuro altri principi, che potranno essere ritenuti prevalenti in relazione a nuove condizioni storiche e caratterizzare epoche future. Ciò tuttavia non riduce la rilevanza del tema; ci aiuta piuttosto a comprendere che la reale questione della sostenibilità non può essere esclusivamente affidata a principi normativi, protocolli, certificazioni definite una volta per tutte, ma richiede un aggiornamento continuo, il ricorso ogni volta ad una strategia, ad un atteggiamento progettuale capace anche di sperimentare, integrando nel proprio processo la complessità dei temi e degli attori che concorrono a definire i criteri di “sostenibilità” in tutti i loro aspetti: ambientali, economici e sociali.
Proprio in architettura, come intreccio di ragioni del fare e del comunicare, l’attenzione al tema della “sostenibilità” non pare (ancora?) aver maturato apprezzabili cambiamenti nei linguaggi, rendendoli riconoscibili almeno altrettanto quanto appaiono stringenti gli insiemi di requisiti, norme, sensibilità, attese, con cui ogni processo deve necessariamente confrontarsi.
Ancora oggi, quando le sperimentazioni di architettura sostenibile hanno accumulato esperienze e risultati consistenti, e stanno affrontando nuove frontiere (dal singolo manufatto al sistema insediativo, alla città, al territorio, alle infrastrutture sostenibili….) una visione, forse appiattita sugli adempimenti richiesti dalle norme, rischia di interpretare il tema della sostenibilità come una “addizione” all’architettura, confinata entro una elaborazione a posteriori, necessaria a soddisfare quantitativamente le norme, senza modificare sostanzialmente la qualità dell’architettura stessa.
La direzione in cui riteniamo si debba procedere è, piuttosto, quella di una cultura del progetto integrato, un approccio al progetto di architettura che sia ben consapevole della rilevanza della questione sostenibilità a partire dalla sua stessa concezione, dai suoi stessi valori costitutivi, dagli stili di vita e dai cicli di produzione da cui dipende, e permei di se tutto il processo progettuale esteso al ciclo di vita intero dei manufatti, magari riscoprendo saperi dimenticati o inventandone di radicalmente nuovi, per valutare il bilancio complessivo del progetto non solamente dal punto di vista energetico o della quantità di carbonio coinvolto nel ciclo produttivo, quanto sotto il profilo del miglior punto di equilibrio raggiunto tra le molteplici esigenze cui l’architettura risponde.
Il complesso BedZed a Londra – Foto di Paola Valentini