INTERVENTO DI AIMARO OREGLIA D’ISOLA |

CERIMONIA DI PREMIAZIONE IN/ARCHITETTURA | 19 OTTOBRE 2020

Mi è difficile dire il Maestro, l’architetto, l’intellettuale e tacere l’amico, con il quale. fin dal primo nostro incontro, ho avuto un ininterrotto confronto di passioni, di punti di vista, di interessi. Pensieri ormai così metabolizzati che possiamo, di volta in volta, scambiare tra noi le tesi sostenute, in un continuo simmetrico gioco delle parti. Scambio, sovente anche acceso , come sono sempre le discussioni con Piero, scambio di punti di vista, e sovente, infine, difficoltà di riconoscere quanto c’è in me che è suo e di suo che può esser anche mio. Così avviene nell’amicizia, nella philia.

Premio alla Carriera: applausi durante un percorso prestabilito, piazzarsi, arrivare primi. Un po’ affannati.

La carriera è oggi una corsa a ostacoli, salita faticosa in una incastellatura fatta da caselle e test da riempire; scalata al cursus honorum. Il modello era, o forse, è ancora, la “carriera militare” – in gioventù volevo fare il militare ma la guerra vista da dentro mi ha duramente consigliato l’ architettura – o anche la carriera accademica, la carriera politica. Si diventa, così, se si riesce, generale , rettore, ministro.. Max Weber sulla burocrazia e sulla carriera scrive: La scienza come vocazione e La politica come professione.(1917)

Ma il percorso, la corsa di Piero non è tanto il superamento di ostacoli prefissati, ma Piero, in gran carriera, gli ostacoli li travolge, ci entra dentro “a testa prima” ne mostra l’inconsistenza e l’assurdità li corregge, li costruisce. Rimonta ostacoli, li critica, mette in forse certezze acquisite, poi traccia sul terreno nuove piste, esplora, ascolta le voci di altre culture, di filosofi e di letterati, ci lascia davanti agli occhi un po’ sbalorditi, sempre segni significanti : architetture, arredi, mostre, libri, lezioni. insegnamenti…

E Piero vorrebbe, anche, convertire tutti, e a ragione, in forza di una verità non data per certa, ma sempre caparbiamente perseguita.

Ad una certa età, ogni tanto, ci giriamo indietro, verso la scia che le nostre navicelle hanno lasciato a poppa, scia alle volte tortuosa o diritta, mare in bonaccia o buriana…. Nella scia galleggiano, per qualche tempo, i mobili, le case, le piazze, i progetti, i fogli dei nostri disegni, le memorie informatizzate, i libri, le parole e le cose che abbiamo fatto, costruito, scritto, detto.

Dietro, nella scia di Piero c’è di più, c’è un vero mondo. Per raccontarlo ci vorrebbero giorni, convegni, lezioni.

Mi scuso per il rozzo riassunto delle virtù, che è pesantemente segnato, infettato dalle mie preferenze che scompigliano eccellenze riconosciute.

Laurea aTorino, assistente di Mollino, Professore ordinario di progettazione architettonica a Torino e a Milano. Visiting professor: Londra, Losanna, New York, Berlino.

Responsabile Scientifico allaTriennale di Milano. Accademico di S. Luca. I titoli delle pubblicazioni denunciano subito il contenuto, ne cito solo qualcuno:

La città nella giostra del capitale raccoglieva, se ricordo bene, i nostri scritti sessantottini. Piero aveva, in quei tempi, organizzato un acceso convegno internazionale, Utopia e/o Rivoluzione, ne è rimasto il bellissimo coltissimo manifesto. Titoli che dicono il contenuto: Progettare la città, Allemandi;: Dalle cose ai pensieri; I racconti dell’abitare; e significativi del suo pensiero recente: Per una architettura narrativa e Racconti di architettura, Skira. ” Molti gli articoli su Riviste: ricordo: Un architettura per raccontare; Le cose coseggiano. Più di 30 mostre in tutto il mondo:Torino, New York, Berlino…E altrettanti concorsi. Cito alcune architetture che più mi hanno interessato. ma qui, più che i nomi contano le immagini: Mobili Gufram, Corso Unione Sovietica, Villa Acutis, Piper a Torino e l’altro mondo a Rimini, Negozio a Parigi, Casa a schiera sulla collina Torinese, Scuola materna aT orino, Case in corso Francia, Centro per il restauro alla Venaria, Villaggio Olimpico a Torino, eccetera…

E nella scia a diguazzare, senza salvagente, metterei anche allievi, figli e collaboratori, che, con la libertà e l’autonomia – quella autonomia che i veri Maestri lasciano al discepolo – ne continuano l’opera ed il lavoro.

La sua carriera, il curriculum è fatto di cose, di oggetti, eventi, prassi che veicolano e sono veicolate dall’intelligenza. L’”intelligenza” è un termine che Piero giustamente sottolinea e usa, cerca, ma anche esige. È intelligenza accompagnata sempre da una postura etica, attenta curiosa, rigorosa ma aperta, che non ammette compromessi. Ogni costrutto, ogni lavoro vive a se, è “icona”, ma anche trova senso nell’ordine del percorso, nella “situazione”, è fondata da una etica rigorosa, non astratta, ma sempre connessa a prassi che vanno anche al di là dell’architettura. Pietro, come Lutero, vorrebbe convertire tutti, o meglio, come Voltaire, vorrebbe convincere tutti: se il mondo sbaglia ne soffre. È l’etica delle “intenzioni”, ma anche e contemporaneamente, quella della “responsabilità” (per dirla ancora con Max Weber) e della ragione illuminista. Etica del lavoro dell’architetto come lavoro umanistico, così diceva il nostro comune padre Leon Battista Alberti.

Ma non solo scia, sguardo all’indietro. Piero non è certo un nostalgico del passato, del già fatto, ma apre: e non solo opera aperta alla Eco, pensiero, ma pensiero militante che guarda avanti, combatte in campo aperto. Così come occorre anche oggi.

Teorizza la “narrazione”, e l’”interpretazione”: l’opera di architettura deve essere. Interpretata; è progettata e costruita, ma poi “gettata” nel mondo dove si emancipa dall’autore, vive di vita propria, “si frantuma”. L’interpretandum si rompe e si apre a “frammenti” di sempre nuove interpretazioni.

Piero Derossi oggi definisce quello che progetta, “allestimenti per interpretazioni”, interpretazioni lasciate aperte verso usi diversi, anche inattesi. Il manufatto progettato è raccolto e operato da chi lo usa, da chi lo abita. E chi lo usa e lo vive ne è il vero architetto dell’opera. Con Vattimo, con Rovatti e con Nietzsche, anche Derossi è per: “tutto è interpretazione” ma le sue opere non sono utopiche, relativiste, fragili, ma sono ben concrete: è costruttore e figlio di costruttore.

Viviamo oggi un tempo in cui un virus bello e terribile si è fatto architetto disegnando e imponendo spazi, distanze, e nuovi modi di abitare, sconvolgendo e frammentando di fatto molte narrazioni e modelli consolidati. Non più ybris della modernità, non spettacolarità, shock, ma nemmeno sprechi e banalità, rumori assordanti. Non arroganza dei progettisti per esser “Famosi”, residuo di idealismo e razionalismo traditi. Viene anche il sospetto che l’intera storia dell’architettura possa esser letta come agita dai virus: l’igienizzazione sanatoriale è alla base dell’ossessione razionalista per il le grandi superfici vetrate per l’intonaco bianco, per le monotone “stecche” geometricamente distanziate parallele ecc..

Oggi siamo, così si dice, sulla soglia di una epoca che ha visto nei beni di prestigio, design, grattacieli come beni simbolo di una posizione raggiunta . Temperie diverse forse si stanno profilando. Mi piace guardate la “narrazione” che Piero narra, come una apertura a nuovi racconti che lasciano alle spalle un passato, alle volte glorioso alle volte molto triste, per volgersi a nuovi paradigmi, a riformulare nuovi più autentici bisogni.

Apertura a modi di vita più saggi, e condivisi. E forse anche più attraenti. Più attenzione alle sensazioni, l’aisthesis, agli stimoli del corpo per ritrovare i nessi,  che pensavamo ormai perduti, tra Arte e Natura. Natura che non è solo ” contesto” come si dice sovente tra noi, ma natura di cui siamo parte. Sulla sua scena, oggi più che mai, non spettatori ma siamo protagonisti e responsabili. Nesso cruciale, tra le nostre Arti e le Nature che la cultura, dal seicento in poi, aveva in qualche modo, dissolto, che la modernità aveva banalizzato nella dialettica città/campagna. Oggi, mi pare, che al nostro mestiere, e alle nostre discipline siano giunti nuovi stimoli anche da altri saperi, dalle filosofie, dalle neuroscienze. La proclamata autonomia ed eteronomia dell’Arte (e dell’Architettura) dalla quotidianità della vita, tra banalità ed estetizzazione del mondo, ne ha messo in crisi quei valori critici che Derossi non ha mai mancato di sottolineare con il suo lavoro.

Altri modi di vivere la casa, la città, il territorio; nuove somiglianze e differenze, oltre i saperi consolidati verso una contemporaneità più “intelligente” , più umana, più giusta, così come Piero ha tentato, narrando “allestendo e frammentando” architetture. E, credo, a questo andar oltre, servono anche i Premi alla Carriera come momento di riflessione sul nostro abitare la terra.

Oggi, nel tempo in cui anche un terribile virus ci interroga e, così come il Mito, non ci dà risposte, ma pone domande, e quindi ci obbliga a guardare dentro di noi, a noi stessi, ed ai inostri modi di vita, ai rapporti con l’altro, ai nostri territori, al senso delle nostre carriere, e delle nostre architetture: a guardare, con coraggio, ciò che abbiamo fatto e a quanto resta da fare.

Non ci sono strade certe e sicure: l’architettura è anche coraggio, coraggio della ricerca, ricerca paziente, coraggio che non è gesto avventato, spettacolare, audacia delle strutture e delle forme, quello del “Famoso”, ma è coraggio dell’intelligenza e della verità.

Coraggio che la carriera di Piero ha qui, anche oggi, testimoniato.

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