Si sono chiuse da poco le primarie del PD per eleggere il candidato della coalizione di Centrosinistra alle prossime elezioni amministrative torinesi; primarie vinte da Stefano Lorusso, cui invio le mie congratulazioni ed i migliori auguri di riuscita nella non facile impresa di portare la Coalizione alla vittoria nelle elezioni di autunno.   

IN/Arch Piemonte non può che rallegrarsi dell’ottimo risultato conseguito da Francesco Tresso, al secondo posto nella graduatoria, amico e socio IN/Arch ormai da anni, con cui abbiamo intrattenuto un fitto dialogo sugli eventi che hanno contraddistinto la città e il mondo in questa tormentata stagione. Francesco è stato un Consigliere Comunale assiduo, rigoroso, appassionato e intelligente, ha saputo muoversi con assoluta indipendenza al di fuori degli schemi e delle categorie immutabili della politica; da outsider si è fatto carico di una campagna elettorale “povera”, lontana da apparati e centri di potere, ma tanto pervasiva e vivace da riuscire a tallonare da molto vicino il candidato vincente Stefano Lorusso, già Assessore all’Urbanistica nella Giunta Fassino e fino ad oggi capogruppo della Delegazione PD in Consiglio Comunale. 

La sua discesa in campo è stata salutata, con qualche ironia, come espressione di una gauche un po’ sofisticata ed elitaria, ma personalmente credo ci si debba tutti liberare da eccessivi sensi di colpa, anzi si debba positivamente interpretare il compito che storicamente le élite hanno rivestito (quando non si siano troppo spregiudicatamente auto-nominate), di stimolare e guidare i processi innovativi, mettendo a servizio della collettività quegli strumenti e quei flussi di informazioni che le élite sanno meglio maneggiare.

Non si può tuttavia compiacersi troppo, l’esperienza delle primarie del PD torinese si è presto rivelata un flop, almeno dal punto di vista della capacità di coinvolgere i cittadini (11.000 i votanti, contro i 20/30.000 attesi e le 16.000 firme raccolte per sostenere le candidature) e, in particolare, di trovare interlocutori nelle periferie: per la prima volta si sperimentava un riavvio di consultazioni politiche dopo l’apice della pandemia, per il primo weekend (di caldo sole estivo) si riapriva la città dopo le varie forme di confinamento succedutesi in questi 18 mesi, per la seconda volta (2011) a Torino si designava un candidato sindaco tra gli esponenti di una coalizione, mentre – temo non per l’ultima volta – il milieu politico torinese ha potuto illudersi di non fare i conti con il drastico cambiamento di scenario che il Covid-19 ha impresso sulla città e sul pianeta. 

Certo, l’impresa era già di per sé difficilissima, ma pensare di poter ricomporre dentro una minuscola “cittadella” isolata, fatta da politici, attivisti e intellettuali, la eterogeneità di attori e di situazioni che il Virus ha moltiplicato e sconvolto, imbrigliandola dentro i confini di una formula di governo che non poteva né doveva uscire dagli orizzonti familiari al centrosinistra della torinesità, è stato forse un peccato di superbia che è costato caro anche a quanti, dall’interno della coalizione, hanno cercato di forzare quei confini.

Se, come affermano tutti i protagonisti di questa storia, “da oggi si riparte”, forse occorre davvero “ri-partire”, resettare, rinunciare a pregiudiziali, rifare daccapo i conti e riconsiderare quegli aspetti dello scenario che non sono stati sufficientemente esaminati, aggiornare l’ordine delle priorità tenendo conto di cosa possa davvero nascondersi sotto il silenzio e l’indifferenza della città. 

Una città che, mi sembra, rivela con drammaticità una vecchia/nuova divisione che corrisponde a confini sociali, culturali, geografici, etnici, demografici non del tutto definiti e non da tutti percepiti, ma che devono essere studiati e, per quanto possibile, scavalcati, per poter affrontare in modo efficace le prossime tappe del percorso elettorale. Una divisione che oggi separa in modo sostanziale chi dispone di un common ground, di luoghi materiali e immateriali, di linguaggi, di strumenti, di media attraverso cui condividere, esplorare, elaborare, progettare il divenire del mondo intorno a se, da quanti ne sono per molte ragioni e responsabilità esclusi, o che sono indotti più o meno consapevolmente ad auto-escludersi: ben pochi erano informati delle primarie, ben pochi erano interessati alle primarie, ben pochi sono stati coinvolti nei processi che hanno gravitato intorno alle primarie. 

Dunque, il tema della comunicazione pare essere oggi il tema principale che i prossimi schieramenti elettorali dovranno affrontare: e non solo e non tanto quello dei contenuti della comunicazione, ma proprio dei modi con cui la comunicazione potrà riuscire a scavalcare quei confini. 

Ma – dal mio specifico punto di osservazione – l’impressione è anche che, nel dibattito e nei programmi, il tema della città e del territorio, o meglio di quale città e quale territorio, sia stato appena sfiorato: nessuno dei candidati è andato molto al di la di sfocate affermazioni sul riequilibrio e la tutela, sulla necessità di intervenire su mobilità e sostenibilità, né tantomeno è emersa una effettiva ”idea di città”, quella che mi ero permesso di invocare qualche tempo fa su queste pagine come equipaggiamento necessario a chiunque intenda assumersi responsabilità di governo locale. Una idea capace, anche attraverso l’evocazione di paragoni o figure archetipe, di contenere e combinare identità geopolitica, storica, culturale, morfologica, ambientale, economica della città; città come fenomeno che produce ed è prodotto da una intenzionale dislocazione sul territorio delle attività, delle risorse e dei gruppi di popolazione; la città come matrice fisica di pratiche e dinamiche sociali; la città come attribuzione di valori anche monetari e come strategia di governo di quei valori e dei processi che li producono; la città come parte di un sistema di reti fittamente collegate…….

E nessuno ha ritenuto di doversi esprimere su un tema che il prossimo Sindaco dovrà invece per forza affrontare, visto l’attuale stato di avanzamento del processo, un tema che per IN/Arch è questione centrale nel governo di una città, che è il Piano Regolatore inteso come principale patto tra Istituzioni e Cittadini; questione lasciata per la gran parte aperta da quanto finora approvato della Variante di Piano, che si limita a tracciare poco più della squadratura del foglio su cui le Istituzioni sono chiamate a descrivere organicamente i caratteri di una città che, nel suo divenire, mette in forma i rapporti politici, sociali, economici e di qualità ambientale che lì si rappresentano.

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