RIFLESSIONI.
Con il seminario Antidoti. Scenari di economia circolare, abbiamo provato a mettere in relazione i principi dell’economia circolare con lo sguardo, il linguaggio e le tecniche degli urbanisti e architetti. A valle del percorso intrapreso, ci sembra opportuno restituire una approfondimento più specifico sull’economia circolare.
E per farlo, anche qui come nei tre incontri, partiamo da un numero e un’immagine.
Il numero scelto è 114, come il numero delle definizioni di economia circolare che uno studio del 2017 ha contato all’interno della letteratura scientifica e quella istituzionale. Come leggere questo numero? Innanzitutto riconoscendo che “economia circolare” non è un concetto monolite dato una volta per tutte ma, piuttosto, è un concetto in divenire, sia nella sua formulazione teorica che pratica. E come vedremo commentando l’immagine scelta, non è neanche una novità!
Lo studio delle 114 definizioni ha messo in luce 3 considerazioni principali. La prima osservazione che gli autori dell’articolo evidenziano è che nella maggior pare dei casi, le definizioni proposte fanno riferimento al modello delle tre (o più) R (Ridurre, Riusare, Riciclare). Un secondo aspetto che emerge dalla ricerca è che molte definizioni considerano l’economia circolare come una vera e propria strategia per accrescere la prosperità economica, mentre sono poche quelle che includono anche la dimensione sociale.
La definizione che in conclusione, gli autori danno al concetto di economia circolare è la seguente: “un sistema economico basato su modelli di business che sostituiscono il concetto di fine vita con la riduzione, il riuso creativo, il riciclo e recupero dei materiali nelle fasi di produzione/distribuzione e consumo, operando a livello micro (imprese, prodotti, consumi), meso (parchi industriali) e macro (città, regioni, nazioni e oltre), con l’obiettivo di realizzare uno sviluppo sostenibile che implichi creare qualità ambientale, prosperità economica ed equità sociale per il bene delle generazioni presenti e future”.
Il punto cardine da cui si parte per la definizione è il concetto della sostituzione del fine vita con strategie alternative finalizzate a recuperare ed estendere il valore nel tempo della materia.
Come anticipato in apertura, questa idea non è nuova. Ed ecco l’immagine con cui provare a definire l’economia circolarle: propongo l’immagine del pianeta Terra visto dallo spazio, per due motivi. Il primo è che da questa prospettiva la Terra sembra una navicella spaziale viaggiante.
A partire dagli anni ‘60 l’economista americano Kenneth Boulding comincia a sostenere che è necessario passare da un’economia del “Cowboy”, il quale considera la Terra come una prateria infinita da sfruttare, a un’economia della “Astronauta” che considera piuttosto la Terra come una navicella spaziale, e cioè un sistema chiuso e limitato che non può scambiare materia (energia sì) con l’esterno. Quello che si è portato a bordo prima a o poi finirà, quello che viene prodotto come rifiuti si accumula nel tempo.
A differenza degli ecosistemi naturali, infatti, che funzionano a cicli, l’economia industriale, sviluppatasi a partire dal Settecento, segue un andamento per lo più lineare (produrre, consumare, gettare). Infatti, secondo il rapporto Circular Economy Gap 2020, delle quasi 100,6 miliardi di tonnellate di materie prime che nel 2017 sono state trasformate in prodotti e servizi, solo 8,65 miliardi di tonnellate (8,6%) viene recuperato, rigenerato o riciclato.
Ed ecco perché nel panorama economico/politico e accademico ritorna a presentatisi il concetto di economia circolare, alla luce anche della strategia e piano d’azione intrapreso dall’Unione Europea a dicembre del 2015 e rivisto nel marzo del 2020.
In accordo con la definizione proposta in apertura ritengo, quindi, che si possano mettere in evidenza 5 peculiarità dei sistemi economici e sociali circolari. Peculiarità che partono dal mettere la progettazione sistemica al centro, poiché ali sistemi progettano per: a) preservare il valore della materia e dell’energia nel tempo; b) generare nuovo valore da ciò che fino a ieri era considerato uno scarto; c) utilizzare input produttivi rinnovabili o riciclati; d) prediligere l’uso al possesso; e) eliminare ogni forma di esternalità ambientale e sociale negativa.
Infine, ritornando all’immagine della Terra vista dallo spazio, ecco il secondo motivo per cui l’ho scelta. L’economia circolare se vuole essere efficace prima di tutto deve essere un esercizio di postura e cultura: bisogna essere capici di vedere le cose da un altro punto di vista, non auto-centrato, ma etero-centrato, ed essere in grado di impostare una nuova narrazione ecosistemica.