IL PUNTO DI VISTA DI IN/ARCH PIEMONTE.
Premessa
Scandagli è un progetto avviato da IN/Arch Piemonte nel 2018, sull’area del quartiere Aurora, a Torino, per esplorare le profondità urbane, per andare sotto la superficie delle narrazioni convenzionali. L’obiettivo è innescare percorsi di sollecitazione al cambiamento, coinvolgendo in maniera attiva gli abitanti, le istituzioni, i rappresentanti delle categorie imprenditoriali ed economiche.
Scandagli cortili in rete lungo la Dora è stato per IN/Arch il naturale sviluppo di quel programma, articolato, attuato ed arricchito con i partner Solco Onlus, Associazione Genitori Insieme e Educadora Onlus nell’ambito del progetto ToNite, cofinanziato dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale del programma UIA – Urban Innovative Actions.
Il quartiere Aurora
Aurora è un territorio fortemente legato al passato industriale di Torino, oggi degradato e percorso da forti tensioni sociali. Pur nella sua marginalità, Aurora è un quartiere vivace e attrattivo per giovani e stranieri, che tuttavia vivono in situazioni di forte disagio ambientale, economico e lavorativo.
Il luogo del progetto
Da molti anni le rotaie della ferrovia Ciriè-Lanzo che attraversano Corso Vercelli sono inutilizzate e quel residuo di terreno libero, all’incontro tra strade urbane, ferrovia e Lungo Dora, è un sedimento di storia ricco di fascino e suggestioni. A pochi metri dal Lungo Dora, da un importante plesso scolastico e dell’asse centrale di via Cecchi, gli edifici che lo delimitano rivelano caratteri architettonici particolari, diversi dall’anonimato dei caseggiati al contorno.
Quello spazio trasandato, oggi utilizzato come posteggio abusivo e deposito di cose abbandonate, ha attirato la nostra attenzione fin dalle prime azioni di Scandagli: nel cuore di Aurora, per intensità di forma, di memoria, di accessibilità, di identità, ha tutte le prerogative per diventare una piazza solidale e sicura, un luogo “generativo” di trasformazioni vantaggiose per le comunità locali, dove recuperare quote di suolo permeabile e di verde di prossimità.
Nelle letture di urbanisti e sociologhi, il territorio di Aurora risulta contenere grandi potenzialità. Ma come viene percepita la città da chi abita quegli spazi “poveri”, inospitali e negletti delle periferie urbane?
Spazio pubblico e Partecipazione
Le risposte che abbiamo raccolto sono spiazzanti nei confronti della tradizionale immagine delle città italiane: indicano che quanto più gli spazi sono periferici, disgregati, insicuri e quanto più gli abitanti subiscono una condizione di marginalità, tanto più la percezione della città si arrocca in un sistema di luoghi, pochi e facilmente identificabili, relativamente rassicuranti, isolati e specializzati: casa, scuola, lavoro, supermercato, svago…; le strade, le piazze, i giardini, il tragitto che si interpone, anziché essere percepito come dimensione delle opportunità e della condivisione, acquista per gli abitanti un valore totalmente negativo: significa ostilità, disturbo, fatica, tempo sottratto ad esperienze positive.
Se è questa la condizione dell’operare, allora occorre riformulare, all’interno di un processo partecipativo, una lettura condivisa dei territori di margine, per sollecitare sguardi capaci di vedere al di là della desolazione del presente.
Ma come gestire la partecipazione? Limitarsi alle pratiche di coinvolgimento e ascolto o – rimescolando i ruoli e l’ortodossia dei protocolli di co-progettazione – produrre, attraverso l’introduzione di suggestioni altre, un avanzamento?
É necessario che gli abitanti – a partire da quelli che le scuole stanno formando come nuovi cittadini – riacquistino consapevolezza dei bisogni, dei diritti, dei desideri che le crisi hanno sepolto e avvilito; ed è necessario – questa è stata l’ipotesi di lavoro – superare una percezione della città come sistema di piccole isole, disseminate in un territorio ostile. Affinché i processi di partecipazione siano effettivamente “generativi”, occorre che, assieme alle legittime richieste di sicurezza nelle case, di riqualificazione dei giardini delle scuole, di accessibilità ai servizi, si rivendichi consapevolmente il diritto ad un sistema urbano reso accessibile e accogliente nella sua interezza, inclusivo, sicuro, fertile per tutti, attraverso l’implementazione e la cura della rete degli spazi pubblici.
Il nucleo dell’azione di Scandagli è, appunto, la “centralità dello spazio pubblico”: una rete capillare di spazi ad elevata pluripotenzialità e capacità di rigenerarsi e rigenerare, che irrora pressoché tutto il territorio urbano.
Per questa ragione, fin dalla redazione del programma, l’obiettivo di Scandagli è stato quello di realizzare concretamente una installazione e intorno ad essa un evento, da concepire e attuare insieme con le comunità presenti sul territorio. Un evento che permettesse di trasformare – almeno per un giorno – quello spazio anonimo in una piazza animata; per sperimentare una rottura, uno scarto, una inedita possibilità di senso, sovrapponendo quell’esperienza particolare all’immagine anonima e indifferente del quotidiano.
Il ruolo delle Scuole
Il rapporto con le tre scuole – Morelli, Aurora e Chagall – il principale punto di riferimento istituzionale nel territorio, per gli alunni come per i genitori, ci ha fornito un dispositivo efficace per far comunicare progetto e attori sul territorio. Dalle mappe percettive all’allestimento della Festa della Luce, ai workshop in cui si sono confrontati progettisti e studenti, grazie alla collaborazione con le scuole abbiamo potuto registrare stati d’animo, comportamenti, bisogni, in relazione alle risorse che la città fisica offre ai propri abitanti.
In quell’incontro abbiamo preso atto che – al di fuori dei luoghi centrali della città, dove ancora si svolgono i riti collettivi del consumo e della auto-rappresentazione – nella periferia la disgregazione sociale ha ormai quasi cancellato la componente “rituale” dai processi di elaborazione collettiva della città fisica. Escludendo la predominanza dell’uso veicolare, la privatizzazione commerciale, la diffusa presenza di spazi ostili, dimenticati e insicuri, quel che resta dello spazio pubblico è percepito come spazio residuale, estraneo, superfluo. Difficile ipotizzare che – anche in un percorso partecipativo – la domanda di cambiamento possa provenire spontaneamente dalle stesse comunità di abitanti: chi vive in una determinata configurazione territoriale sarà portato a riproporne i caratteri, limitandosi ad amplificare o ridurre gli aspetti più evidenti, se non ha occasione di venire a contatto con contesti di diversa cultura dello spazio.
Per realizzare concretamente una diversa esperienza dei luoghi e affinché quei luoghi esprimano una diversa possibilità di senso, abbiamo avviato un percorso che – attraverso gli strumenti del progetto di architettura, intrecciando la nostra azione con quella di attori radicati nel territorio – potesse trasformare il “Trincerino di Corso Vercelli” in una “Piazza per un Giorno”: in un luogo dove possano avvenire incontri e scambi, dove le comunità riconoscano la possibilità di rappresentare sé stesse e gli altri, dove ciascuno sia in grado di interagire con la collettività.
A cosa serve una piazza
Lo spazio pubblico è da molto tempo ormai egemonizzato dalle esigenze della mobilità automobilistica, le strade sono canali di traffico e gli spazi aperti sono prevalentemente invasi dai posteggi. Solo negli ultimi anni hanno trovato spazio i temi della mobilità dolce, della diversificazione e del riequilibrio ecologico degli insediamenti urbani.
Le reti telematiche hanno aperto nuovi luoghi di incontro virtuale e i giovani, soprattutto, ne sono irresistibilmente attratti. La pandemia poi, ha drammaticamente intaccato un modello globale fondato sulla velocità e la facilità di spostarsi fisicamente nella città (e sul pianeta), l’idea della condivisione come ottimizzazione di spazi e risorse, e ci ha invece abituato ad usare le reti come surrogato della città reale.
Ogni comunità dovrebbe avere un centro di gravità piazza dove incontrarsi, parlare di sé, incontrare le altre comunità. Scendere in piazza significa unirsi per manifestare e rivendicare diritti, dunque per esprimere la coesione di una porzione di società, di un paese, di una collettività.
I workshop
Al workshop di progettazione è stato affidato il compito di rivelare – attraverso l’allestimento dello spazio e l’installazione di manufatti poveri e temporanei – le potenzialità di trasformazione di quel suggestivo slargo di Corso Vercelli. Per sovrapporre all’anonimo stato di fatto l’immagine potenziale di una piccola piazza intensamente abitata, nelle linee guida sono stati indicati alcuni temi su cui orientare il progetto: gli squarci di valore architettonico e paesaggistico e le connessioni urbane più attrattive; le tracce della ferrovia come carattere riconoscibile dei luoghi e della loro storia; i frammenti di verde come primi embrioni di rigenerazione ecologica del territorio; le attrezzature minimali per lo “sport di strada” come catalizzatori di aggregazione e integrazione; le pratiche informali di “arte urbana” come approccio ludico/poetico alla esplorazione urbana, sollecitazione ad un ascolto profondo, capace di ri-semantizzare gli spazi della città.
Il progetto doveva inoltre essere concepito per essere concretamente realizzato dagli stessi partecipanti, insieme con studenti e operatori locali, utilizzando risorse e competenze disponibili nel quartiere, nel corso del successivo Workshop di realizzazione.
La festa
Una rampa/osservatorio – realizzata in truciolato di legno dalla maestria di Emilio Sgambetterra – puntata con un affaccio verso il trincerino di via Saint Bon, segnalava, a Nord il potenziale valore di polmone verde racchiuso dalla vecchia sede ferroviaria dismessa, di cui la natura si è spontaneamente riappropriata, mentre a Sud la rampa era pronta ad ospitare le evoluzioni di giovani skater, anticipando le opportunità di un futuro skate park.
Dal tema del coccodrillo – un rettile capace di muoversi sia sulla terraferma che nell’acqua, eletto ad animale totemico dell’evento, che avrebbe oniricamente rivelato la propria presenza nelle strade di Aurora, per poi convergere verso il fiume Dora – sono nati la sagoma tridimensionale del “monumento al coccodrillo” e le altre variopinte immagini dipinte da Alessandro Rivoir, lungo il basso muretto che separa la breve fascia di ferrovia dagli spazi occupati dalla città contemporanea.
L’obiettivo dell’evento era ricostruire il nesso mancante con lo spazio pubblico intorno a cui gravita la comunità di Aurora, con sollecitazioni di molteplice natura capaci di coinvolgere la collettività locale: la street art, il monumento al coccodrillo, la rampa/belvedere, le arti performative, lo sport di strada.
Ma ciò che ha più efficacemente coinvolto i partecipanti sono sicuramente stati i ritmi di Tate Nsongan e dei suoi percussionisti. Una musica immediatamente identificabile e insieme trasversale, capace di evocare la distanza da cui i migranti provengono, e insieme pervadere e contaminare linguaggi e culture diverse. Quella musica incalzate ha magicamente funzionato come agglomerante, capace di far risuonare insieme tutti gli elementi che componevano l’evento. Musica e danza hanno liberato una grande energia tra i partecipanti, coinvolgendo ragazzi e adulti e rivelando un modo efficace di prendere coscienza della città attraverso l’uso dei propri corpi.
Grande attenzione ai bambini, che hanno partecipato numerosi, dopo che i più grandi avevano con le loro mani contribuito all’allestimento dello spazio, dipingendo i coccodrilli sul muretto, realizzando cornici di cartone colorato con cui allestire – lungo la recinzione a Est della ferrovia – una mostra dei loro pensieri.
Erano accompagnati da insegnanti e genitori ed hanno trionfalmente esibito un meraviglioso coccodrillo, realizzato con portauova in cartone; per il loro intrattenimento erano stati predisposti giochi e animazioni, e in quell’occasione, i più piccini hanno raccontato le storie che avevano costruito con gli insegnanti nel corso delle precedenti iniziative didattiche coordinate con Scandagli.
All’imbrunire, l’eccitazione delle percussioni si è attenuata, lasciando il posto alle rarefatte atmosfere lunari generate dal vecchio tracciato ferroviario che – grazie alle luminescenze di Alessandro Tosetti – è riemerso dal buio come una magica, evanescente trasfigurazione: le rotaie sono diventate una sequenza lineare di fosforescenti S.O.S., mentre intorno i dischetti luminescenti, realizzati dagli stessi alunni, emettevano i loro suggestivi barlumi… Sullo sfondo, Progetto Rescue accompagnava l’ultima scena della festa con una coreografia elaborata sulla filastrocca che i ragazzi avevano composto a scuola:
Mi chiamo Ming da 10 anni ho gli occhi a mandorla, abito in via Cecchi e quando esco da scuola vado subito a casa.
Mi chiamo Omar, abito in via Cecchi e quando finisce la scuola vado subito a casa.
Mi chiamo Chiara e quando finisce la scuola vado subito a casa.
Tra la casa e la scuola non c’è niente da vedere, non c’è niente da fare.
Voglio una strada magica, una strada che mi faccia volare, una piazza che mi faccia sognare.
Mi piace skaitare
Mi piace parlare, mi piace giocare in uno spazio liscio e pulito, dove la palla è libera di rimbalzare.
Mi mancan le giostre, mi manca l’incontro, lì non ci voglio tornare, così me ne voglio andare.
L’odor di benzina mi tormenta e il rumore mi spaventa.
Vorrei più profumo di natura in città.
La musica dei bidoni, il disegno della strada, i colori del cielo, la luce nella notte.
A scuola siamo tanti e diversi, siamo soli per la strada.
Mi chiamo Franco e quando finisce la scuola vado diritto a casa.

