Lo spazio pubblico, nella interpretazione novecentesca, viene descritto come uno spazio in negativo, tendenzialmente de-specializzato, in grado di accogliere attività diverse in tempi diversi; una rappresentazione dei tessuti urbani in bianco e nero, dove una semplice inversione positivo/negativo permette di osservare con maggiore attenzione la rilevanza dei pieni o quella dei vuoti. Quella che oggi invece pare emergere è una realtà fatta di spazi eterogenei, disarticolati e gerarchizzati, la cui specializzazione si rivela più accentuata e stabile: luoghi del verde, del turismo e della movida, segmenti di mobilità, terreni vague e luoghi “in attesa”. Lo spazio pubblico non appare più come neutro e univoco, attraversato da flussi di potere, di informazioni, di merci, di corpi che lo attraversano; é proprio nella presenza fisica dei corpi che, a proposito di Piazza Tahrir, di Gezi Park e degli altri luoghi in cui, in questi ultimi anni, si è spettacolarmente rappresentata la ribellione contro imposizioni di regimi autoritari, Franco La Cecla identifica la forza della riappropriazione dello spazio pubblico nell’era delle reti globali: “La novità é la ripresa della centralità del rapporto tra corpi urbani e spazi urbani, una ripresa tutta politica, anzi si può dire che la politica è proprio questo, il diritto a esercitare la propria presenza negli spazi pubblici di una città, un gesto e una pratica che rimette in ballo la fisicità della città e dei suoi cittadini”. Le cronache ci mostrano che – purtroppo o per fortuna – la politica non è fatta solo di corpi, ma di processi più articolati e non facili da decifrare, ma resta il fatto paradossale che, mentre il panorama globale ci rivela una crisi della dimensione pubblica, è stata riportata in primo piano la rilevanza che la presenza dei cittadini nello spazio pubblico è in grado di esercitare.
Che lo spazio pubblico, tanto nel suo ruolo di canalizzazione dei flussi, quanto in quello di scena collettiva e simbolica, quanto ancora in quello di luogo di libera fruizione ed espressione di bisogni e diritti che intrattengono una continua e mutevole negoziazione con gli attori istituzionali, assuma un carattere strutturale nei processi insediativi, è questione ampiamente trattata e, almeno nelle sue linee di principio, genericamente riconosciuta. Alcuni aspetti tuttavia, sono stati finora relegati ai margini del dibattito e delle politiche urbane ricorrenti:
Lo spazio pubblico (il cui tema si intreccia inestricabilmente con quello, attualissimo, dei beni comuni) è lo spazio dei diritti, tanto collettivi quanto individuali, che intrattengono tra loro una dialettica e a volte un conflitto (mobilità, rumore, funzioni, comportamenti…) che possono essere governati democraticamente solo sulla base di una gerarchia di valori negoziati e condivisi, piuttosto che su quella del territorio come merce.
Lo spazio pubblico è più pubblico, ma l’intero territorio riveste una dimensione collettiva: il paesaggio, il carico urbanistico, l’incidenza sull’ambiente, sul suolo, sul clima, sulla percezione collettiva dei luoghi, richiamano la consapevolezza che qualunque atto insediativo comporta una ricaduta sugli interessi della collettività.
La città e il territorio devono essere quanto più possibile accessibili, accoglienti e attraversabili: gli spazi che abitiamo sono disseminati di divieti, di luoghi sorvegliati e aree segregate, di istituzioni totali separate (ospedali, quartieri militari, carceri, tribunali, da ultimo e non ancora così radicate nel nostro paese, le gated communities, le enclave residenziali esclusive). La pervasività dell’allarme securitario, le recinzioni, i cancelli, i DASPO urbani, le intimidazioni nei confronti di comportamenti, abbigliamenti, forme di consumo estranei ad un concetto di decoro urbano, presunto come “categoria universale” (cfr. W. Bukowski la buona educazione degli oppressi, ed. Alegre) , la distribuzione ineguale dei servizi, la conseguente espulsione di categorie socialmente deboli, sono comportamenti sempre più ricorrenti , che producono una sfocatura nella distinzione tra spazio pubblico e spazio privato: lo spazio pubblico è davvero così accessibile a tutti?
Attraverso la permeabilità delle forme, la dimensione temporale interagisce con la dimensione spaziale: lo spazio pubblico interagisce con gli edifici al contorno intensificano gli effetti urbani propulsivi, contribuendo alla “serendipity”, ossia alle opportunità di interazione tra soggetti e attività diverse che entrano in contatto anche casuale tra loro. La sincronicità di più avvenimenti in contatto percettivo, amplifica le connessioni sociali, sollecita il coinvolgimento, stimola il travaso dei comportamenti e delle informazioni, allarga gli orizzonti di progetti di vita possibili: “vite ed eventi si intrecciano e coesistono, senza necessariamente toccarsi” (Michele Nastasi Il bordo negli edifici, Lotus n. 168)
Quanto al tema della “sostenibilità” oggi attualissimo – al netto del sensazionalismo mediatico, e della prospettiva totalmente occidentale della narrazione – lo spazio pubblico può costituire una risorsa estremamente efficace per migliorare la qualità degli insediamenti, nella misura in cui sia affrontato in tutta l’ampiezza della sua dimensione sistemica: vengano avviate politiche di mobilità sostenibile e, in modo complementare, di distribuzione equilibrata dei servizi di prossimità, di permeabilità delle superfici, di potenziamento del verde urbano e conseguente miglioramento della qualità dell’aria e riduzione delle isole di calore, di sistemazione delle superfici permeabili e impermeabili basata sui flussi delle acque meteoriche, di riduzione dell’inquinamento luminoso e acustico e forse molte altre cose ancora.
La percezione dello spazio pubblico come sola superficie bidimensionale, delimitata dai confini della città privata – prevalentemente edificata – deve essere allargata ad una visione più complessa e articolata della attuale concezione di spazio poroso (già nella nuova pianta di Roma realizzata nel 1748 da Gian Battista Nolli, la città era descritta come un minuto e inestricabile intreccio tra monumenti, vestiboli, chiostri, sagrati, tessuti edificati, strade, crocicchi, piazze, androni, cortili, interstizi…) in cui le strade aperte si connettono con i piani terreni degli edifici che li delimitano, le funzioni più o meno permeabili, le cavità più o meno accoglienti: i pieni e i vuoti diventano complementari, contribuendo ciascuno al senso dell’altro.
Nella foto la manifestazione del Civil Human Rights Front a Hong Kong contro la legge sulle estradizioni in Cina