A quanto sembra, dopo una lunga gestazione, si stanno finalmente definendo, nei vari schieramenti, i candidato sindaci per le prossime elezioni amministrative di Torino.
Una città, che, come è noto a tutti i protagonisti in campo, sta attraversando una stagione di crisi economica, demografica e sociale di particolare gravità e non solo per via della crisi pandemica. Il prossimo Sindaco – e la squadra che lo affianca – dovranno affrontare una situazione complessa che richiederà risposte e strategie chiare, rigorose e sopratutto comunicate con esplicita evidenza ai cittadini.
Quello che ci si aspetta ora è un confronto democratico, aperto e partecipato, sul modello di ri-partenza e sviluppo che si intende percorrere.
Per contribuire e sollecitare il confronto, IN/Arch Piemonte ha provato a segnalare alcuni temi da sottoporre all’attenzione dei Candidati che, in base alle risposte che i nostri interlocutori avranno la cortesia di formulare, possano contribuire con maggior merito e dettaglio a definire quali idee di città emergano dai loro programmi.
Il testo è forse troppo prolisso per i tempi della politica, e i temi descritti non sono che una parte delle domande che affiorano nelle diverse realtà della Torino del 2021, ma contiamo sulla collaborazione dei nostri lettori per perfezionare questa prima traccia e formulare delle domande.
Se avete delle domande da porre ai candidati Sindaco inviatele a progetto@inarchpiemonte.it entro il 1 settembre.
QUALE CITTÁ?
Come è noto il piano regolatore in vigore, per il quale è in corso una revisione parziale, è stato concepito per una città di circa un milione e mezzo di persone, quando si percepivano appena le avvisaglie del prossimo declino economico e sociale, ma che ancora esprimeva una probabile vocazione, assegnava una abbondante dotazione di spazi e di infrastrutture; la città ancora non era stata investita dai temi del cambiamento climatico, dalla preoccupazione per i destini del pianeta, dagli sconvolgimenti e delle inquietudini che avrebbero generato la recessione e le grandi migrazioni globali. Oggi Torino conta circa 860.000 abitanti, cui possiamo ragionevolmente aggiungere circa 60.000 studenti fuori sede. Ha perso la propria identità manifatturiera e la configurazione sociale appare sempre più fragile; anche la cifra storico-culturale della Torino sabauda e barocca, della città laboriosa, austera e moderata è ormai in gran parte smarrita, sopraffatta dai fenomeni globali, dal ri-posizionamento dei luoghi della produzione, dalla concentrazione dei grandi attori economici e finanziari, dal diradamento delle funzioni di rango più elevato. Al di fuori delle aree centrali e semi-centrali, emergono con evidenza i segni della perdita di funzioni e di identità, di una crescente incuria da parte delle istituzioni e dalla disaffezione degli abitanti, della desertificazione degli spazi pubblici, dello sgretolarsi della coesione sociale. Nello stesso tempo appare sempre più evidente come i nodi da sciogliere scavalchino per la gran parte i perimetri dei singoli comuni, dei settori amministrativi, delle singole gerarchie municipali e sollecitino a nuove strategie capaci di andare oltre i tradizionali confini tra organi e settori istituzionali. Il futuro dei territori dipende dall’identità geopolitica di Torino in ambito trans-nazionale, dal sistema di interazione tra nodi centrali, semicentrali e tessuti insediativi perimetrali, dalle loro capacità di contrastare le criticità e intercettare i flussi di energie, risorse, opportunità imposte dalla peculiarità del nostro tempo.
Ritenete che, nelle future politiche urbane e metropolitane, ci sia la possibilità di affrontare questa nuova condizione? Quali interventi specifici si intende attuare per “ri-socializzare” le parti di territorio escluse dai processi di riqualificazione degli ultimi anni? Che configurazione può assumere la città, quando si diventa consapevoli che anche Torino è coinvolta dai processi globali legati a clima, ambiente, risorse, migrazioni? Possiamo ritenere che la dimensione multietnica e multiculturale della città sia sufficiente a sottrarci ai conflitti? Come può la Città affrontare con maggiore impegno e consapevolezza le istanze che provengono dalle fasce sottorappresentate? Dalle donne, dai bambini, dagli anziani, dalle diverse identità di genere? Superare i pregiudizi, attivare percorsi di integrazione, sperimentare nuovi modelli di accoglienza?
La variante di Piano Regolatore, la cui procedura è stata formalmente avviata dalla Amministrazione oggi in scadenza, ma il cui percorso è ancora lontano dalla conclusione, ha delineato un generale quadro normativo entro cui potranno muoversi in futuro i vari operatori con specifici progetti. Il Piano è tuttavia ancora lontano dall’esprimere una idea compiuta del ruolo di Torino e del suo hinterland nei prossimi decenni, dall’individuare le vocazioni e le criticità delle sue parti, dal fare emergere specificità di luoghi e manufatti, dall’affrontare i temi della “forma urbana” come impronta fisica dei comportamenti e delle relazioni tra i suoi abitanti.
Questa fase, in qualche misura “programmatica”per la Giunta uscente, lascia aperti molti interrogativi e fa sì che le pagine della Variante siano ancora in gran parte da scrivere: come si intende proseguire e concludere il processo di redazione del Piano? Quali potranno essere i motori principali della rigenerazione? A chi spetterà la responsabilità e l’iniziativa di orientare le logiche di insieme e a dare avvio a progetti site-specific, ovverosia a disegnare concretamente il rapporto tra la città fisica e quella sociale, tra la città esistente e quella in divenire?
Dopo decenni di paralisi progettuale e di disinteresse, i molti luoghi abbandonati della città si impongono come emblemi di un declino apparentemente irreversibile, che le promesse ormai inattendibili stentano a coprire e che la crisi economica contribuisce a congelare: Palazzo del Lavoro, grattacielo della Regione, ex Teatro Gualino, Motovelodromo, Manifattura Tabacchi, Astanteria Martini, sono forse le reliquie più conosciute, ma l’elenco potrebbe rivelarsi assai più lungo e articolato.…
É possibile concepire l’avvio di processi progettuali (non solo in senso architettonico) che possano rendere concreto e prossimo il recupero non soltanto di manufatti iconici dell’identità torinese, quanto di risorse urbane per avviare più ampi percorsi per una città rigenerata?
La Città di Torino, come molte altre città italiane, si trova in una condizione debitoria che ne ha di fatto ridotto costantemente l’agibilità politica, con una affannosa, quanto necessaria, ricerca di nuove risorse, a scapito del patrimonio pubblico e dei servizi offerti ai cittadini. Si è accresciuto in questo modo il ruolo dell’azione filantropica, che ha provvidenzialmente affiancato, se non addirittura sostituito il settore pubblico nella promozione di iniziative sociali. In questo modo tuttavia si sono anche create le premesse per un potenziale condizionamento politico, da parte delle fondazioni bancarie, nell’esercitare azioni di sostegno a settori del corpo sociale, nel recupero del patrimonio pubblico, nel contributo alla produzione culturale che la città può offrire.
Quali politiche economiche e di sviluppo si intende attuare per affrontare questi problemi, senza gravare ulteriormente sul patrimonio della città e sulla qualità della vita dei suoi cittadini ?
QUALE LAVORO?
Negli ultimi 25 anni, a partire dall’approvazione del Piano Regolatore nel 1995, la città di Torino ha modificato più di 35 milioni di mq (quasi un settimo del territorio comunale) con investimenti senza precedenti nella sua storia, inseguendo un modello di sviluppo urbano basato sulla città dei servizi, del commercio, dell’innovazione, della conoscenza, degli eventi e del turismo, in un quadro generale di modifica del sistema di produzione della ricchezza. Modello di sviluppo che ha certamente ottenuto qualche risultato e migliorato l’immagine della città all’esterno, ma che, a tutti gli effetti, ha dimostrato anche tutta la sua debolezza, con una crescita della disuguaglianza, del lavoro povero e precario, con la presenza riconoscibile di nuove forme di marginalità sociale. I dati socio-economici, già prima della pandemia attestavano in modo inequivocabile che con irruzione globale dell’high tech e della gig econonomy fosse in atto una profonda riconfigurazione del lavoro, dalla produzione di beni e servizi alle imprese e ai cittadini, al commercio, al settore della cultura e a quello delle professioni.
É considerazione ormai largamente condivisa che questo modello di sviluppo non sia più in grado di generare lavoro sufficiente a colmare la perdita di occupazione nella manifattura tradizionale; che sia in atto una radicale riconfigurazione del concetto stesso di lavoro, che investe i settori produttivi quanto quelli dei servizi, le attitudini e le competenze insieme ai processi formativi, il succedersi delle esperienze lungo la vita, le ricadute economiche e le varie forme di supporto e tutela degli occupati.
Quali effetti ricadranno sulla distribuzione delle risorse, sull’organizzazione degli spazi, dei flussi, dei tempi della città e delle reti di relazione al contorno? Quali strategie si dovranno mettere in atto per riportare il lavoro nella città e per garantire che questa riconfigurazione, per quanto inarrestabile, produca quante più opportunità possibili e più equamente distribuite, piuttosto che marginalità impoverite ed escluse? A quali soggetti, privati o istituzionali, spetterà il compito di attivare e alimentare tali strategie?
QUALE AMBIENTE ?
Torino si è trasformata ed è cresciuta vigorosamente in contesti storici non ancora toccati dalla sensibilità ambientale di questi ultimi decenni; le caratteristiche geomorfologiche del territorio, il modello insediativo generato dai tessuti urbani storici, l’ampia dotazione di verde nella fascia collinare e fluviale sono state fino ad ora ritenute condizioni favorevoli alla scala urbana, tuttavia queste condizioni non si riproducono in modo capillare e uniforme nelle diverse parti della città; il sistema della mobilità ha finora privilegiato il traffico veicolare privato, la polluzione atmosferica è ben lontana dal poter essere definita sotto controllo e, come se non bastasse, studi recenti hanno riconosciuto che è la conformazione dell’intera Pianura Padana a far sì che una gran quantità di inquinanti si concentrino su Torino, estremo limite di quell’unica “megacity” prima della barriera alpina, tanto che neppure durante i ripetuti lockdown, si siano registrate apprezzabili riduzioni dell’inquinamento ambientale.
Su quali ambiti si intende intervenire per affrontare la questione ambientale in una delle città più inquinate d’Europa?
RIPARTENZA ?
La crisi pandemica ha fatto drammaticamente esasperare problemi esistenti e ne ha fatto emergere di nuovi; la maggior parte di essi hanno direttamente a che vedere con la prossemica, ovverosia con i parametri percettivi dello spazio interpersonale (densità, rarefazione, distanza, prossimità, aperto, chiuso, individuale, collettivo, accogliente, ostile, naturale, artificiale….), con i modelli insediativi della residenza, della produzione, dei servizi, con la morfologia e il clima del territorio, con i requisiti ambientali degli edifici pubblici e privati, con l’uso sociale dello spazio e con la cultura abitativa in generale. Contemporaneamente, si stanno concretamente avviando le condizioni affinché, con la Next Generation EU, prenda avvio una diffusa campagna di interventi concepiti come premessa e volano di futuri modelli economici, sociali, ambientali evoluti e virtuosi.
Insomma, si potrebbe affermare che il prossimo mandato di governo della Città si rivelerà probabilmente cruciale per determinare il successo o l’insuccesso di una concreta e vasta rigenerazione di Torino e del territorio che le sta intorno. Con quali scelte strategiche, con quali livelli di condivisione e con quali strumenti operativi sarà possibile assicurare che questa straordinaria opportunità possa essere sfruttata al meglio, nell’interesse di ciascuno e di tutti?
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