La città, da sempre, è il centro delle attività dell’uomo. Qui hanno trovato spazio la produzione, il commercio, la cultura, la scienza, lo sviluppo sociale: attività che, dalla rivoluzione industriale in poi, hanno consentito agli abitanti di migliorare a poco a poco la loro condizione sociale ed economica. Una realtà che ha incentivato il mantenimento nei centri urbani delle sue funzioni caratterizzanti, senza molto riguardo però per l’ambiente. Per rendere sostenibile il suo ulteriore sviluppo (con riferimento non solo agli abitanti attuali ma, soprattutto, alle generazioni future) è diventato più urgente operare per ridurre il traffico e l’inquinamento atmosferico, ottimizzare l’uso delle risorse, garantire l’accesso ai servizi alle diverse categorie d’utenza.

Su tali temi, di portata mondiale, nel 2015 la stessa Assemblea generale delle Nazioni Unite adottò una risoluzione incentrata sul tema: “Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile” con cui chiedeva di:

  • garantire un sistema di trasporti sicuro, conveniente, accessibile e compatibile con le risorse disponibili, migliorando la sicurezza delle strade e potenziando i trasporti pubblici;
  • potenziare l’urbanizzato “inclusivo e sostenibile”, pianificando e gestendo in tutti i paesi insediamenti con uno sviluppo partecipativo e integrato;
  • ridurre l’impatto ambientale delle città, con particolare attenzione alla qualità dell’aria e alla gestione dei rifiuti;
  • fornire agevole accesso agli spazi verdi e pubblici sicuri e accessibili, con particolare attenzione a donne, bambini, anziani e disabili.

Per diventare intelligente la città deve darsi nuovi modelli evolutivi, che rivolgano particolare attenzione alla qualità della vita e ai bisogni dei cittadini, come parte di un territorio che, contemporaneamente, sappia stare al passo con le innovazioni e con la rivoluzione digitale e essere attrattiva.

Il Piano Strategico dell’Unione Europea di attuazione per le Smart Cities, definisce la città come “un sistema di persone che interagiscono con i flussi di energia, materiali, servizi e finanziamenti per favorire la crescita sostenibile dell’economia, la capacità di resilienza e un’alta qualità della vita”. I flussi e le loro interazioni sono intelligenti in quanto fanno un uso strategico delle informazioni, delle infrastrutture di comunicazione e dei servizi, in un processo di pianificazione urbana e di gestione trasparente in grado di rispondere ai bisogni sociali ed economici della società.

La città è intelligente se si fonda su un insieme organico dei fattori di sviluppo urbano, mettendo in risalto l’importanza del “capitale sociale” di cui è dotata. È digitale, cioè a controllo numerico, se è in grado di garantire una gestione razionale delle attività economiche, della mobilità, delle risorse ambientali, delle relazioni tra le persone, delle politiche dell’abitare, oltre a disporre di un adeguato modello di amministrazione.

Una realtà nella quale gli investimenti in capitale umano e sociale e quelli nelle infrastrutture tradizionali (mobilità e trasporti) e moderne (le tecnologie dell’informazione e della comunicazione), dovrebbero essere selezionati attraverso un metodo di governo partecipativo.  

È indispensabile consentire ai cittadini di interagire, dialogare e partecipare costruttivamente alle decisioni dell’amministrazione locale. Per rispondere adeguatamente a tali esigenze la città intelligente ha bisogno di utilizzare un sistema informatico che permetta a chiunque di inviare in tempo reale segnalazioni, richieste e proposte. Il primo fondamento della “smart city”, infatti, è quindi quello di essere inclusiva e saper massimizzare l’apporto dell’insieme di conoscenze e capacità personali che contribuiscono alla produzione economica e allo sviluppo della società.

Progettare una “smart city” in urbanistica significa quindi prevedere ed adottare una serie di strategie progettuali tali da semplificare e rinnovare le infrastrutture fisiche, facendo particolare attenzione alla sostenibilità ambientale.

Quanto sopra vuol dire che oggi, oltre che di una città “smart”, abbiamo bisogno di uno “smart planning”, cioè di progettazione, pianificazione e politiche del territorio più intelligenti di quelle fino ad oggi praticate. Ciò porta a rivedere profondamente i contenuti del piano, creando connessioni combinate tra infrastrutture, aree urbane, strumenti tecnologici (come sensori, attuatori e rivelatori di dati) e nuovi servizi pubblici, in modo che le città risultino meno inquinate, meno costose, più sicure, più sane e più vivibili.

Sul piano giuridico, tali esigenze richiedono anche l’adozione di strumenti di partecipazione al processo pianificatorio “nuovi”, con l’ausilio di mezzi tecnologici che li rendano sempre più “amichevoli” e maneggiabili da parte dei singoli individui (anche nelle formazioni sociali) coinvolti nelle decisioni amministrative.

Un nuovo approccio che impone una revisione dei tradizionali modelli cognitivi dei pianificatori e degli urbanisti, costringendoli a modificare non solo i protocolli con cui costruiscono le conoscenze per il piano, ma anche a concepire nuovi strumenti di pianificazione, in grado di rispondervi adeguatamente. Un processo decisionale più intelligente, dinamico e innovativo e, soprattutto distribuito e condiviso, sarà possibile solo con questo insieme di azioni concertate.

«Oggi in Italia l’urbanistica è un’attività screditata, considerata con fastidio e preferibilmente accantonata. Nelle amministrazioni periferiche, Regioni, Comuni e Province, ha un posto secondario, con uffici ridotti al minimo e disponibilità economiche precarie; nella vita privata dei cittadini italiani compare quasi solo come un ostacolo sgradito, da eludere o eliminare. Dovunque se ne parla malvolentieri e il meno possibile».

Queste sono considerazioni che faceva Leonardo Benevolo più di dieci anni fa, e oggi sono ancora attuali, anche se l’avanzamento del dibattito in campo urbanistico di settore ha da tempo classificato come obsoleti i vari strumenti urbanistici ad oggi praticati e tutti convengono sull’opportunità di passare finalmente a più idonei metodi di quantificazione, qualificazione e parametrizzazione delle relative previsioni.

La necessità di integrare gli standard quantitativi (espressi in metri quadri/metri cubi) con gli standard quali-tativo-prestazionali, che consentano di leggere le specificità di una città complessa, è imposta dal passaggio della stessa dalla fase dell’espansione dell’edificato alla riqualificazione dell’esistente.

Per la lingua italiana la qualità, a livello tecnico, è costituita dal «complesso delle caratteristiche che rendono un oggetto adatto all’uso o alla funzione cui è destinato» (Dizionario Treccani). Governare il territorio con l’urbanistica, garantendone gli aspetti qualitativi, significa dunque organizzarlo in modo da rispondere adeguatamente alle esigenze dei cittadini che in quel territorio debbono vivere. 

Una realtà che impone all’urbanista la ricerca – in tre diverse direzioni – di soluzioni più avanzate, in grado far fronte alla continua e sempre più rapida evoluzione delle esigenze degli utenti. Si tratta, sinteticamente, di:

– riscoprire l’identità dei luoghi; 

– procedere ad una revisione della cultura urbanistica;

– rendere possibile la valutazione, a priori, dei progetti da parte dei cittadini.

Va inoltre sottolineato che l’approccio qualitativo ricomprende un ampio insieme di indicatori, in passato trascurati se non ignorati del tutto, di notevole rilievo anche per il loro significato ambientale:

– la qualità dello spazio biologico (clima, aria, acque, rumore, ecosistemi);

– la qualità del paesaggio (costruito, naturale, rurale);

– la qualità degli spazi collettivi (luoghi d’incontro, servizi socioculturali, verde, mobilità).

Naturalmente, il singolo indicatore non può esprimere compiutamente la qualità di un luogo, per cui debbono essere considerati nel loro insieme. Tali esigenze non possono concretizzarsi nell’urbanistica oggi praticata, in quanto la qualità è un parametro scarsamente considerato quando vengono privilegiate le quantità, i numeri: gli abitanti previsti, le stanze fabbricabili, la superficie delle aree destinate a servizi ed attrezzature collettive, ecc. Parametri nati tutti nella fase del grande sviluppo industriale alla metà del secolo scorso. A fronte di un continuo incremento degli occupati e dei residenti doveva corrispondere un più che proporzionale incremento di aree impegnate dalle attività produttive, dalla residenza e dai servizi pubblici.

Ecco perché quello prefigurato è un obiettivo che presuppone una revisione degli standard finora utilizzati. La quantità continua ad essere un parametro necessario, ma va integrato con adeguati indicatori di qualità, anche con riferimento alla qualità ambientale dei centri urbani.

In sintesi, occorre garantire:

a) che la quantità sia valutata ricorrendo a parametri prestazionali, per garantire il massimo soddisfacimento possibile delle esigenze di qualità dei servizi;

b) che la viabilità sia progettata con riferimento a criteri che consentano di soddisfare le mutate esigenze della mobilità (veicolare, pedonale e ciclabile insieme);

c) che siano predefiniti requisiti di tipo ambientale ed ecologico, quali la percentuale di superficie permeabile o le alberature da piantumare per ogni intervento, al fine di assicurare l’attenuazione dei diversi fenomeni inquinanti;

d) che entrino in gioco parametri che consentano di “governare” alcuni fenomeni decisivi, quali l’inquinamento atmosferico, acustico e idraulico, con riferimento alle acque superficiali e sotterranee.

Infrastrutture e servizi urbanistici, pregio ambientale ed ecologico (verde pubblico e privato con funzione di purificazione, permeabilità dei suoli, zone di ambientazione, corridoi ed attrezzature naturalistiche, ecc.). Questi, in sintesi, dovrebbero essere i nuovi indicatori della qualità urbana.

Ma per consentire un’efficiente ed oggettiva valutazione della qualità dei servizi, si impongono apposite ricerche ed elaborazioni tecniche, in grado di supportare il nuovo concetto di standard, che dovrebbero essere commissionate a centri di studio adeguati e solo a livello nazionale. Tali ricerche dovrebbero partire dall’esigenza di tradurre la qualità in termini quantitativi o parametrici: per un corretto processo valutativo non si può infatti prescindere dall’introduzione di metodi di misura che, per ogni standard, siano in grado di valutare il servizio effettivo offerto, anche in termini di qualità.

E, oltre agli aspetti quantitativi, si dovrebbero definire i livelli minimi, validi per tutto il Paese, degli aspetti qualitativi dei servizi, rimandando alle singole Regioni solamente la definizione, sulla base dei criteri fissati a livello nazionale, di disposizioni specifiche adeguate alle loro caratteristiche territoriali ed ambientali.

Con l’obiettivo di adeguare le previsioni di piano, il Governo centrale dovrebbe infine introdurre adeguati procedimenti di informazione/partecipazione. Un elemento di notevole importanza, sostanzialmente trascurato nella pianificazione ad oggi praticata, è infatti la partecipazione dei cittadini/utenti che dovrebbero essere messi in condizione di conoscere adeguatamente il progetto di piano, per poter esprimere compiutamente il loro parere. Analogamente, i professionisti dovrebbero imparare a ricorrere a tecniche di rappresentazione delle previsioni che consentano a tutti (non solo agli esperti in materia) di valutarne compiutamente tutte le implicazioni.

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