Ho a lungo esitato ad intervenire su questo argomento, il Ponte di Genova ed il ruolo di Renzo Piano. Ho esitato perchè ho letto molto, e più leggevo più mi convincevo di avere una posizione opposta al mare di critiche che dal mondo professionale continuava a crescere. Mi sono interrogato sulle ragioni di questa diversa opinione, ma, infine, quand’anche la mia posizione fosse di netta minoranza, voglio proporre il mio punto di vista differente. Come ho risposto ad un amico che già scriveva enunciando il tarlo del dubbio, invece di stare seduti al tavolo proviamo a salirci sopra e guardare da un punto di osservazione per noi insolito (cfr. “L’attimo fuggente”).
Molti hanno scritto. Taluni lo hanno fatto perchè non conoscono né il valore del silenzio né i confini del rispetto verso una tragedia; tanti autorevoli colleghi oltre che amici, hanno invece scritto con argomentazioni valide e soppesate, criticando anche aspramente il ruolo assunto da Renzo Piano, a loro non voglio contrappormi ma proporre una differente interpretazione per una discussione a più voci.
Inizio dall’argomento più banale, Genova città natale di Piano, che ho visto spesso contrapposta a “si, ma vive a Parigi” oppure “si ma è iscritto all’Ordine di Milano” e via enunciando.
Penso che se Piano non avesse detto o fatto nulla, verosimilmente “la rete” avrebbe registrato fiumi di giudizi negativi perchè a fronte della tragedia, l’architetto famoso in tutto il mondo, l’archistar, si dimostrava insensibile ed irriconoscente verso l’origine e l’esperienza professionale genovese, proprio lui al quale è stata riconosciuta, per il lustro che ha dato alla Nazione, la nomina a Senatore a vita.
Dunque sarà banale ma l’essere presente secondo le proprie competenze e capacità universalmente riconosciute in questo frangente tragico per la propria città, io penso gli faccia onore e denoti una sensibilità che forse non tutti avrebbero avuto.
Provate ad immaginare Renzo Piano musicista oppure regista, attore, scrittore famoso ed apprezzato in tutto il mondo che dedica alla propria città il proprio lavoro per onorarla ed aiutarla. Qualcuno dei suoi colleghi omologhi più o meno famosi avrebbero mai fatto una levata di scudi? Io penso di no! Bisogna forse concludere che musicisti, registi, attori, scrittori abbiamo senso sociale più spiccato degli architetti? Spero di no, sarebbe molto triste.

Si però le leggi, il codice degli appalti, i concorsi, la legge sull’architettura … i centocinquantamila architetti italiani senza lavoro … penso, invece, che l’intervento di Renzo Piano faccia molto bene ai centocinquantamila bistrattati architetti e provo a spiegarmi.
Innanzi tutto Piano ha spostato il fuoco di attenzione sulla città, perchè non può essere solamente una discussione di architettura o di “ardita ingegneria”, che sia del passato oppure del futuro prossimo. Così ha richiamato l’attenzione di tutti sul fatto che sotto quel ponte c’è una città che va ripensata attraverso una stagione di concorsi.
Se lo dice Piano la sua voce viene ascoltata dai decisori e non solo da loro, diventa un argomento di discussione che non si può eludere e delinea la prospettiva di una congerie di concorsi ed interventi per definire un modello di città diversa da realizzare nel corso dei prossimi anni. In quel contesto lo spazio per esercitare la propria creatività e professione, non solo degli architetti, lo troveranno in molti: gli stessi peraltro che innegabilmente non avrebbero la possibilità di partecipare ad un concorso oppure ad una gara per la ricostruzione del ponte.

Dunque checché se ne dica ritengo che l’intervento di Piano apra ad uno scenario positivo per la città e chi la abita, per l’architettura e per gli architetti. Apre ad una visione consapevole di una tragedia che è molto più estesa di quanto oggi non appaia, ancora più pesante delle 43 vittime, perchè vittima è la città stessa, ora anch’essa in equilibrio instabile, in particolare quella che scorreva sotto al ponte.
Già prima era una città precaria, una non città, vittima di una stagione di sviluppo durante la quale, senza troppi pensieri, due punti geografici si univano con una linea retta senza attenzione a ciò che si attraversava oppure si sovrastava. Quel ponte non era l’unico esempio, quante case esistono in condizioni simili nelle nostre città?
Un modello di disegno infrastrutturale che mi porta a casi più recenti. Per esempio la linea retta disegnata con un righello (si fa per dire ma non è molto distante dalla realtà) dall’AD di Ferrovie Moretti tra Lione e Milano per il corridoio 5 di alta velocità. Ma non erano più i tempi del ponte Morandi, ed un movimento di protesta ottenne una decina di anni fa una significativa revisione del tracciato rimettendo peraltro in gioco una città, Torino, che rischiava la marginalizzazione da quel transito senza fermate sul proprio territorio.
Ciò che accade oggi con il movimento del No a tutto è altra cosa, strumentale e demagogica che non riconosce il punto di equilibrio raggiunto con una contrapposizione serrata e seria. Sembrerebbe questo altro argomento, invece ricompare con la Gronda di Genova, discussioni e contrapposizioni anche giuste, ma interminabili senza mai giungere a decisione.

Esiste dunque il valore funzionale e simbolico del ponte per il quale bisogna “fare presto ma non in fretta”, ma esiste soprattutto una città da cambiare per riportarla ad essere “casa”. E per richiamare un’altra polemica precedente, Piano questa volta non dice “dov’era, com’era” ma l’esatto contrario dimostrando la caratteristica propria dell’architetto, saper interpretare con il progetto un luogo secondo peculiarità e storia. Luoghi che non sono un universo indifferenziato ed al centro del progetto ci deve essere la qualità della vita di chi ci abita.
Fare presto ma non in fretta”, una affermazione semplice ma di grande utilità, che va oltre l’opera ed il luogo, che interpreta un sentimento comune in tutti noi progettisti quando cerchiamo di comunicare che l’architettura, l’opera dell’architetto, il progetto, non può essere violentato nel proprio equilibrio dalla fretta. Infinite discussioni sull’argomento non hanno spostato di una virgola il problema in questi anni: la voce di Renzo Piano ha costretto tutti a riflettere su due termini apparentemente simili ma contrapposti e sul progetto. Non è poco.

Io credo che nessuno abbia mai pensato che i concerti di “Pavarotti & Friends” facessero male alla musica ed ai musicisti, così come chi lavora nel settore come tecnico senza essere musicista.
Dunque io proverei a cogliere gli aspetti positivi dell’intervento di Renzo Piano, anche alla luce di un’altra sua affermazione, forse la prima, di questi giorni: “… ad ognuno il proprio ruolo …”.
Ecco, su questo dovremmo riflettere, gli architetti facciano gli architetti, esercitiamo il nostro ruolo e lasciamo la tecnocrazia a chi ne ha competenza, ai tecnici del suono per tornare all’esempio di prima. Probabilmente saremmo più apprezzati ed avremmo più fortuna … anche se siamo tanti.

Il 13 settembre scorso su La Stampa è comparsa un’intervista a Renzo Piano su una mostra a lui dedicata a Londra. L’intervista chiude così «Mi piace costruire spazi per le persone, dove la gente possa ritrovarsi, condividere esperienze e valori. Costruire edifici è un gesto civile e di responsabilità sociale e l’architettura può dare forma ai cambiamenti della società, anche se non può cambiarla da sola».

Ecco!