Secondo il rapporto annuale dell’osservatorio Nimby Forum, in Italia nel 2016 ci sono state circa 360 proteste significative contro la realizzazione di nuove infrastrutture e insediamenti di varia natura. Proteste che esprimono una fortissima richiesta di partecipazione da parte dei cittadini e, al contempo, sollecitano lo Stato perché modifichi le modalità di programmazione e progettazione delle opere di rilevanza collettiva, al fine di renderle più efficienti e più vicine alle istanze dei cittadini. C’è pertanto da chiedersi se la strada aperta dalla recente legge sul Dibattito Pubblico possa davvero preludere ad una nuova fase di partecipazione e reale collaborazione nelle scelte significative di trasformazione urbana e territoriale.
Redatta nel dicembre del 2017, la bozza del Decreto che disciplina il Dibattito Pubblico, in attuazione del Codice degli appalti (D.lgs 50/2016, art. 22, c. 2), ha già accolto le osservazioni della Conferenza unificata tra Stato, Regioni e Autonomie locali. In essa vengono definiti l’arco temporale delle procedure, i casi di obbligatorietà (per opere tra i 200 e i 500 milioni), gli enti amministrativi (regione, provincia, città metropolitana, capoluogo di provincia, unione di comuni) e i cittadini elettori che possono richiederlo.
Secondo la bozza presentata il Dibattito Pubblico potrà essere organizzato e gestito in modo variabile, in relazione alla peculiarità del contesto di riferimento. La norma non stabilisce infatti nel dettaglio le fasi procedurali del Dibattito ma indica genericamente una serie «incontri di informazione, approfondimento, discussione e gestione dei conflitti».
Il Dibattito Pubblico dovrà essere attivato durante la fase di elaborazione dello studio di fattibilità, e gestito da una figura indipendente in collaborazione con il Proponente dell’opera e il Comitato di Monitoraggio (composto da non meglio definiti «enti locali»).
La figura “terza” e indipendente, che dovrà gestire tutte le fasi del Dibattito, deve essere scelta tra soggetti idonei compresi nell’elenco dei fornitori elaborato dalla nascente Commissione nazionale per il dibattito pubblico. Il Dibattito dovrà concludersi nell’arco di 4 mesi; successivamente il Proponente avrà 3 mesi per formulare un proprio dossier conclusivo in cui dovrà esprimere la volontà o meno di realizzare l’intervento, le eventuali modifiche apportate al progetto e le ragioni che hanno condotto a non accogliere eventuali proposte. Il Proponente è assistito per tutto il processo dal Comitato di Monitoraggio, che ha il compito di contribuire alla definizione delle modalità di svolgimento del Dibattito Pubblico, concorrere alla soluzione dei problemi e delle criticità, contribuire alla discussione e alla valutazione delle proposte emerse nel corso del Dibattito.
Si tratta sicuramente di un passo avanti ma che presenta diverse criticità e contraddizioni.
Anzitutto, contrariamente a quanto definito nella precedente LR n. 46 della Regione Toscana, la bozza del Decreto esclude dalla procedura le iniziative private, anche se ricadenti nelle categorie dimensionali che rendono obbligatorio il ricorso al Dibattito Pubblico.
Risulta contraddittoria anche la riduzione del 50% della soglia dimensionale di obbligatorietà per le sole opere ricadenti nei siti UNESCO, a prescindere dal reale valore culturale, artistico o ambientale del luogo di insediamento.
Le associazioni ambientaliste hanno inoltre evidenziato che il Decreto esclude tutti gli impianti energetici, gasdotti, oleodotti, trivelle, centrali chimiche e impianti nucleari; proprio quegli impianti per i quali vi sono state maggiori proteste, petizioni e attivazione di comitati a difesa del territorio.
Vi sono poi alcune criticità di carattere procedurale poiché ad esempio la norma non definisce in modo esatto quando il Dibattito può essere proposto come facoltativo e con quale tipo di percorso, né definisce, in questo caso, una soglia minima di applicazione.
Altro aspetto critico è rappresentato dal fatto che non sono specificate le modalità di istituzione del Comitato di Monitoraggio né è definito il carattere vincolante o meno delle raccomandazioni da esso prodotte. Criticità di questo tipo appaiono in parte comprensibili, vista la complessità e variabilità, sia della composizione degli attori dei processi partecipativi, sia delle articolate tecniche con cui vengono affrontati.
A queste osservazioni si aggiungono alcuni recenti significativi rilievi contenuti nel Parere n. 359/2018 del Consiglio di Stato.
Il Consiglio ha anzitutto rilevato che le soglie dimensionali troppo alte rischiano di rendere minimale l’utilizzo del nuovo procedimento.
Il Parere contiene inoltre la richiesta di potenziare l’attività di monitoraggio della Commissione nazionale per il dibattito pubblico e di renderne dispari il numero dei componenti al fine di evitare situazioni di stallo nei casi in cui una decisione debba essere presa a maggioranza.
La nota più significativa riguarda la richiesta esplicita di individuare la figura “terza” che deve coordinare il Dibattito in ambito esterno all’istituzione aggiudicatrice ma interno all’apparato statale. Non potranno in questo modo esser incaricati professionisti esterni.
Aspetti critici di varia natura che speriamo possano essere affrontati e corretti nel corso dell’avvio di questa nuova e interessante pratica. Pratica già ampiamente sperimentata in Francia (a partire dalla Legge Barnier del 1985), con l’obiettivo esplicito di rendere finalmente trasparente il confronto con i territori per la definizione delle grandi opere, attraverso una procedura che permettesse di informare e far partecipare le comunità coinvolte, con specifiche garanzie sul coinvolgimento.